Ci si può riconoscere stranieri e parlare la stessa lingua: il 20 aprile 2021 Claudia Durastanti, autrice de La straniera, lo ha confermato rispondendo alle domande delle nostre alunne e dei nostri alunni delle classi 3AB, 4AN, 4AT, 3CM e 4BM che - coordinati dai docenti Anna Angelozzi e Vincenzo Battista - partecipano al progetto Conversazioni a Pescara.
Gli studenti hanno letto con curiosità il suo libro, in alcuni casi identificandosi con il narrato autobiografico. Nella lunga intervista le sue parole hanno rivelato senza tabù le “cose di famiglia”, con la cura che si riserva ai vissuti complicati da analizzare per capirsi meglio, quelli che scardinano la mitologia delle figure genitoriali per ricostruire la “costellazione affettiva”.
Claudia definisce la madre e il padre, entrambi sordi, astri temporanei pulsanti intensità differenti, sono simili tra loro - ed anche agli altri - nella capacità di essere “romantici impostori” quando raccontano i ricordi. Nelle autobiografie, quelle premiate con uno Strega e quelle ancora sconosciute, non c’è mai un limite preciso tra fiction e vero, basta scegliere a cosa credere momentaneamente per costruirsi un caos calmo.
La Durastanti ci spiega che anche la sua scrittura è un riflesso “mitologico”, nel senso che è in dis-equilibrio fra il muro del silenzio e lo sfondamento dello scavo interiore, e in mezzo c’è lo sforzo della comunicazione, non solo verbale, di una “lingua interrotta, spezzata”.
Quando risponde ai nostri adolescenti, lo sguardo è mobilissimo, la voce si modula su toni differenti, ogni tanto si percepisce una leggera inflessione anglosassone: è un mix di caldo e freddo, di andante mosso con pause frequenti. Sottolinea che i silenzi le sono necessari.
Oscar Buonamano, moderatore dell’incontro, la ringrazia quando lei invita ad aver pazienza con la parola scritta, la Straniera in fondo è nata quando aveva circa sei anni, la gestazione è stata poi decennale; alla rabbia e alla frammentazione giovanile pian piano è subentrata l’ironia che, ad esempio, stempera i toni melò o tragici della figura materna.
La fatica di curare il lessico e la sintassi in modo da trovare una melodia, limando il superfluo, sarebbe forse piaciuta al Calvino delle Six Notes for the next millennium ed anche a Pavese, uno degli autori preferiti della Durastanti. Claudia riconosce che la formazione lucano-americana ha influito senza dubbio, sia per la condizione di estraneità passeggera della “migranza” - per cui ci si rende conto della mancanza di un luogo solo dopo che ce ne allontaniamo - sia per la lingua di transizione che costruisce il suo “universo polifonico” e che l’ha resa una traduttrice sempre più “sciolta”, pur nel rispetto degli autori di cui si occupa. La parola inglese preferita è sempre quella indicata nel testo, “marshes” (acquitrini), quella italiana è “desiderio”; quando le hanno fatto notare che usa in modo ricorrente il verbo “sciupare”, lei ha riflettuto su l'accezione positiva dell’azione, corrompere qualcosa senza voler rovinare.
Infine, Claudia Durastanti rivendica la natura politica del suo libro quando ricorda che la definizione di disabilità – spesso soggetta ad interpretazioni unilaterali - non può prescindere da una condizione di disagio in cui ognuno talvolta cade; quando sottolinea che non-udenti sono coloro che rifiutano la comunicazione come strumento che può sciogliere la contrapposizione “straniero/nemico”; e quando ricorda che la subalternità di classe, peggiorata da una situazione di miseria, magari camuffata, può influenzare l’esistenza e le scelte individuali qualora un’istituzione pubblica quale la scuola non riesca a bilanciare il disequilibrio sociale.